Manipolazione dei virus, correzione del Dna, ingegnerizzazione delle cellule: in provincia di Varese si trova la prima “biotech manufacturing organization” italiana. Si chiama Anemocyte e produce terapie avanzate
Immaginate un futuro non lontano in cui si possa guarire da una malattia genetica utilizzando un… virus. Sì, avete letto bene, un virus; reso innocuo, certo, ma pur sempre un virus, il quale si trasforma in un “taxi” per trasferire nelle cellule malate una copia funzionante del gene difettoso, che ne corregge il malfunzionamento favorendo la guarigione del paziente. Un futuro in cui i tumori si combatteranno e guariranno iniettando nel malato le cellule – sue o di un donatore – che indurranno una risposta immunologica nei confronti del cancro. Un futuro in cui una cornea o la pelle danneggiata si autoripareranno grazie alla rigenerazione dei tessuti di cui sono fatte. Sono le nuove frontiere della terapia genica e di quella cellulare, i due volti delle cosiddette terapie avanzate; prodotti medicinali a base di geni terapeutici o cellule sottoposte a un processo di manipolazione estensiva e/o di ingegnerizzazione, con un grande potenziale nel trattamento di molte malattie attraverso la rigenerazione di tessuti danneggiati o la ricostruzione di quelli mancanti, la riattivazione o il ripopolamento di cellule, la correzione del Dna mutato in pazienti affetti da gravi malattie genetiche. L’Italia è all’avanguardia in questo settore, grazie alla propria storia di eccellenza nel campo dell’industria farmaceutica che ha dato origine, oggi, a realtà avanzate come Anemocyte, la prima “biotech manufacturing organization” italiana, un’azienda che opera nel campo delle terapie cellulari e geniche all’interno del BioPark Insubrias di Gerenzano (VA). Nata nel 2017, le sue radici affondano nel Nine Trees Group, gruppo specializzato da più di 60 anni nella realizzazione di prodotti chimici per l’industria farmaceutica, con un business attivo in oltre 60 Paesi e un know-how fortemente made in Italy.
«Credo molto nell’ecosistema italiano delle terapie avanzate – dice Marco Ferrari, Ceo di Anemocyte – Da noi esistono le competenze, in un mercato che esiste da oltre un ventennio, dove le imprese che si sono occupate di queste terapie cominciano a vedere oggi i risultati, tangibili e misurabili».
Possiamo parlare, nel vostro caso, di medicina del futuro?
Il modello di medicina del XX secolo ci ha dato molti benefici ma è una medicina in cui il rimedio dovrebbe funzionare “per tutti”, in teoria. Man mano, ora, la medicina passa da quella sfera, dove il farmaco è il principale attore, alla sfera della precisione, dove il protagonista è il genoma del singolo, ossia la struttura che in maniera unica ciascuno ha e che esprime la sua reazione peculiare a uno stimolo terapeutico. Questa capacità di indagine e di precisione crea una medicina sempre più tagliata sul singolo o su gruppi di pazienti con caratteristiche simili. Le terapie avanzate sono ottimi esempi di medicina di precisione.
Da dove nasce Anemocyte?
Storicamente il nostro gruppo lavora nel mondo del contoterzismo farmaceutico; siamo erogatori di servizi nello sviluppo e produzione di principi attivi da un lato, nel mondo dei famaci di terapia avanzata, con Anemocyte, dall’altro. Il gruppo nel 2012 ha deciso di affiancare alla sintesi farmaceutica, in un processo di diversificazione settoriale, il mondo delle biotecnologie della salute, dopo aver valutato che per il futuro ci sarebbe stata una forte crescita del mercato del farmaco biologico. Con questa visione in mente si è diversificato, acquisendo una realtà preesistente ed effettuando un’analisi per individuare i mercati che si sarebbero aperti con quella acquisizione. Dal turnaround successivo, questa realtà è passata da società multiservizi nell’ambito delle biotecnologie della salute a società il cui core business è diventato la ricerca, lo sviluppo e la produzione dei farmaci a base di cellule, geni e tessuti. Accompagniamo i nostri interlocutori – multinazionale, media azienda farmaceutica, istituto di ricerca pubblico o privato, virtual biotech – in un percorso che può partire sia dalle prime fasi di sperimentazione clinica o preclinica, sia da fasi più avanzate in cui il farmaco è stato già individuato e ciò che serve è ottimizzarne i processi produttivi e portarlo, attraverso gli step di validazione clinica, fino al mercato.
Di che mercato parliamo, in termini di valore?
In base ai dati del 2017, il giro d’affari del mercato delle terapie avanzate – o terapia cellulare e genica, come è definito negli Usa – vale circa 2-3 miliardi di dollari. In una proiezione al 2025, la sola terapia cellulare varrà circa 8 miliardi, mentre se uniamo la terapia genica dovremmo superare i 15 miliardi, con una crescita media annua superiore al 20% in valore. È un mercato con ottime prospettive. Secondo quanto stimato dalla Fda americana, entro il 2025 solo negli Usa sono previsti dai 10 ai 20 nuovi farmaci di terapia avanzata in approvazione: ormai non sono più una novità, ma una realtà in consolidamento.
Per voi, quindi, si aprono ottime prospettive?
Negli ultimi anni, in previsione della crescita del mercato, la nostra realtà ha deciso di ritagliarsi un ruolo di leadership a supporto del Paese, investendo con l’intenzione di sviluppare caratteristiche che già l’Italia ha nel settore produttivo, in quello clinico o della ricerca. Penso anche agli enti regolatori italiani, che hanno contribuito a elevare lo standard qualitativo con cui le aziende del settore generano farmaci di qualità e a un sistema molto vivo sul fronte dell’innovazione, come dimostra la nascita di numerose start-up.
Questo ecosistema può attrarre talenti?
Personalmente credo che la migrazione non sia di per sé un male, se è parte di un percorso. La sfida del nostro Paese, oggi, non è tanto quella di evitare che qualcuno faccia esperienza altrove, ma quella di riattrarre il contenuto che si è generato anche con l’esperienza all’estero nel momento un cui serve. Spesso però nel nostro campo le competenze non sono disponibili: non serve pretenderle se non ci sono realtà aziendali che si rendono pronte a interloquire con le istituzioni che le generano, provando a stimolare un processo virtuoso. Siamo nella fase giusta, perché ci sono i presupposti per crescere e penso sia il momento per impostare un nuovo percorso. C’è molta strada da fare, le terapie avanzate in primis sono all’inizio del loro viaggio e non alla loro destinazione. Ci saranno ostacoli da superare, ma sono ottimista.
Credits economymag.it (http://bit.ly/AMC-krw)